Vita nei borghi
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Nel 1922 Parma era una città di circa 60.000 abitanti e il suo tessuto urbano si distendeva ancora dentro il cerchio delle vecchie mura farnesiane, abbattute pezzo dopo pezzo tra la fine dell’800 e i primi anni del ’900.
All’interno dei viali sorti al loro posto la città era divisa in due da un torrente e la gente aveva preso l’abitudine di definire l’una e l’altra parte “Parma nuova” – quella intorno a piazza Garibaldi – e “Parma vecchia”, l’Oltretorrente.
Denominazioni che non avevano nulla a che fare con il passato più o meno antico delle due zone (era anzi il contrario), quanto con le sembianze con cui si presentavano agli occhi di chi le guardava. Il fiume cioè a quell’epoca rappresentava un confine sociale e politico molto netto: la ricca e borghese Parma nuova – che era stata capitale di un ducato per più di 300 anni – aveva un aspetto molto elegante. Sull’altra sponda invece si dipanava un intrico di borghi stretti, disegnati da piccole fette di case addossate le une alle altre il cui intonaco scrostato ne accentuava l’aspetto miserevole.
Fotografie e documenti
La città popolare, abbandonata a se stessa da secoli di indifferenza amministrativa, languiva in condizioni igieniche e sanitarie terribili e ad affollare i suoi borghi era una popolazione misera e dolente, per lo più braccianti e lavoratori a giornata, poveri artigiani, piccoli e piccolissimi negozianti e un generico proletariato irrequieto e turbolento, molto simile a quello delle società di ancien régime. Gente che viveva di occupazioni stagionali in condizioni economiche al limite della sopravvivenza e che, nei mesi invernali, si trovava spesso senza lavoro. Gente che nella vita si barcamenava, si spezzava la schiena dall’alba al tramonto e vedeva spesso morire i propri figli prima che avessero compiuto due anni. Gente povera e analfabeta, esclusa da qualsiasi processo decisionale e da ogni diritto politico, che da sempre subiva la prepotenza dei signori e che, come unico orizzonte, aveva forse la possibilità di ammalarsi – e morire presto – di tubercolosi.
Insomma un popolo dal sapore antico che si guadagnava a stento la giornata e viveva gran parte del tempo fuori casa, in osteria o per strada, in una vita all’aperto che rendeva i borghi vivaci e rumorosi. Era un mondo di cui era facile sentirsi parte, in cui ogni strada rappresentava un microcosmo sociale, e miseria e quotidianità condivisa legavano le persone in un robusto spirito di gruppo che ampliava la distanza con l’«altra» città. Parma nuova era cioè sempre più lontana e ostile, anche per via di un certo carattere indocile della teppaglia «di là dall’acqua» che con fatica ubbidiva alle leggi borghesi, che non amava gli uomini in divisa incaricati di farle rispettare e, non di rado, si accendeva in rumorose rivolte che le conquistarono presto fama di popolo ribelle e sovversivo.
Per saperne di più...
Becchetti Margherita, Fuochi oltre il ponte. Rivolte e conflitti sociali a Parma 1868-1915, Mup, Parma 2021 (I ed. DeriveApprodi 2013).
Zanardi Flavio, L’Oltretorrente (un quartiere popolare di Parma), in Comunisti a Parma. Atti del convegno tenutosi a Parma il 7 novembre 1981, a cura di Fiorenzo Sicuri, Istituto Gramsci Emilia Romagna e Parma – Biblioteca U. Balestrazzi, Parma 1986, pp. 239-274.